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Olga Averina - Roma in ogni stagione. «Il Laterano alle cose mortali andò di sopra»

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Olga Averina - Roma in ogni stagione. «Il Laterano alle cose mortali andò di sopra»
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Roma in ogni stagione. «Il Laterano alle cose mortali andò di sopra»
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3 февраль 2019
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Обзор книги Olga Averina - Roma in ogni stagione. «Il Laterano alle cose mortali andò di sopra»

È una descrizione dettagliata del complesso di edifici storici eretti nell’arco di più di duemila anni nel quartiere di San Giovanni in Laterano, luogo che una volta aveva la stessa importanza per il mondo di quella che ha oggi il Vaticano. Nella narrazione l’autore fornisce molte interessanti informazioni aventi a che fare, sia con l’arte, che con la storia, soprattuto la storia del Cristianesimo.
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Roma in ogni stagione

«Il Laterano alle cose mortali andò di sopra»


Olga Averina

Переводчик Anton Khazov


© Olga Averina, 2017

© Anton Khazov, перевод, 2017


ISBN 978-5-4483-8128-7

Создано в интеллектуальной издательской системе Ridero

All’attenzione dei lettori si propone una serie di libri raccolti in una collana chiamata «Roma in ogni stagione», dedicata ai luoghi più interessanti, pittoreschi e segreti.

Il primo libro della serie è la presente edizione – Roma in ogni stagione: «Il Laterano alle cose mortali andò di sopra». È una descrizione dettagliata del complesso di edifici storici eretti nell’arco di più di duemila anni nel quartiere di San Giovanni in Laterano, luogo che una volta aveva la stessa importanza per il mondo di quella che ha oggi il Vaticano. Nella narrazione l’autore fornisce molte interessanti informazioni aventi a che fare, sia con l’arte, che con la storia, soprattuto la storia del Cristianesimo.

Il libro è indirizzato a tutti coloro che si interessano di Roma.

Informazioni sull’autore e sull’interprete:

Averina Olga, nata e residente a Mosca fino al 2016. Laureatapresso l’istituto statale di storia ed archiviazione di Mosca. Attualmente vivonella città di Svetlogorsk della regione di Kaliningrad.

Khazov Anton, nato a Roma, residente a Mosca. Laureato presso l’UniversitaStatale Linguistica di Mosca.

Al posto della prefazione o «I manoscritti non parlano»…

Nella notte tra il 13 e il 14 settembre 1321 a Ravanna si spense Dante Alighieri, l’autore della «Commedia», che più tardi, un’altro illustre italiano, Giovanni Boccaccio definirà «Divina». I figli di Dante, Jacopo e Pietro, dopo aver messo in ordine tutti gli scritti del Padre, si accorsero che non erano presenti i manoscritti degli ultimi capitoli della «Commedia». Non era chiaro se fossero andati persi o se non siano mai stati scritti… Tutti e due i fratelli, nonostante non avessero ereditato la genialità del padre, si dilettavano a scrivere versi, e dopo alcune riflessioni decisero di finire il cantico del «Paradiso» loro stessi, affinchè l’opera più importante del padre non fosse rimasta incompiuta. Dio solo sa come sarebbe finita questa storia se non fosse intervenuto… Dante stesso.

Un giono, quando Pietro era assente, Jacopo fece uno strano sogno. Vide il padre che si ergeva davanti a lui in una veste bianca. La testa del defunto era attornata da uno strano bagliore che con la sua forma ricordava o un aureola o una corona di lauro, come quella che fu posta sul capo di Dante nella tomba.

Impaurito, Jacopo chiese al padre se avesse terminato l’opera e se avesse conservato i manoscritti. «Si. L’ho terminata», disse Dante. Il sogno continuò fino a che padre e figlio si trovarono nella camera da letto di Dante, dove il poeta indicò il muro sul quale era appesa una stuoia e scomparve. La mattina dopo Jacopo si precipitò dall’amico del padre, il notaio Pietro Giardini, per raccontargli del suo sogno. Poco dopo erano già in due a correre per tornare a casa di Dante. Nel luogo indicato dietro alla stuoia, il notaio e Jacopo con molta meraviglia scorsero una nicchia nella quale vi erano riposti i manoscritti degli ultimi tredici canti del «Paradiso».

Attualmente è difficile stabilire cosa in questa storia sia vero e cosa sia inventato. L’importante è che Dante aveva completato l’opera. Lui non solo vide «color che tu fai cotanto mesti», ma vide anche «la Porta di San Pietro», dove cominciava il paradiso. Nelle ultime cantiche del «Paradiso» ritrovate, Dante continuò la descrizione della sua misteriosa struttura. Il viaggio di Dante nei cieli culminò con la contemplazione dell’Empireo, o Candida Rosa, un luogo sconfinato, popolato dalle anime dei beati contemplanti Dio.

Nel cercare le parole giuste per definire la bellezza inimmaginabile dell’Empireo, quando ci fu bisogno di descrivere l’indescrivibile, la mano di dante scrisse le seguenti parole:

Se i barbari, venendo da tal plaga

che ciascun giorno d’Elice1 si cuopra,

rotante col suo figlio ond’ella è vaga,

veggendo Roma e l’ardua sua opra, stupefaciensi, quando Laterano

a le cose mortali andò di sopra…

(Divina Commedia, canto 31).

Dunque, il paragone fu trovato! La contemplazione del Paradiso in cielo è simile alla contemplazione del Laterano in terra.

Per Dante il Laterano era assolutamente grandioso senza alcun dubbio, e i suoi contemporanei capivano bene a cosa si riferiva il geniale italiano. Ma come si sa i tempi cambiano e ai nostri contemporanei la parola «Laterano» dice poco o niente. Questo non è giusto, poichè il Laterano non merita l’oblio. Cerchiamo di colmare questa lacuna della nostra conoscenza e cominciamo, come dicevano gli antichi, ab ovo, cioè dall’uovo2.

I. In brevi o il Laterano in due parole


«In principio era il verbo». Così comincia il Vangelo3 di Giovanni o San Giovanni, come viene chiamato l’apostolo dagli italiani. Cominceremo anche noi questo libro con un «verbo». Dalla parola «Laterano»… Alla possibile provenienza di questo nome sarà dedicato un capitolo a parte, intanto ci soffermeremo sul significato più generale della parola.

Dunque, che cosa è il Laterano? Per il mondo cristiano una volta questo nome aveva lo stesso significato che da più di sei secoli porta il «Vaticano». Se continuiamo a delineare questa analogia vediamo che sia il Vaticano che il Laterano sono:

– nomi geografici, e precisamente di due collinette romane che, anche se non fanno parte sei famosi sette colli4, non sono meno famosi;

– il luogo dell’ubicazione della Santa Sede, o della sede Papale, e precisamente lo stato sovrano con a capo il Papa.


Quì è cominciata la storia della chiesa cristiana europea e fino al XIV secolo la residenza ufficiale dei papi era situata sul colle Laterano di Roma. Ed è proprio nel palazzo del Laterano che nel 1929 è stato firmato l’accordo tra la chiesa cattolica romana e il governo italiano con a capo Benito Mussolini che conferiva al Vaticano lo status di Stato Pontificio indipendente che prima del 1870 occupava praticamente tutta la parte centrale della penisola italiana.


Tutti sanno, che attualmente il centro spirituale, nonchè simbolo della residenza dei Papi è la cattedrale di San Pietro. È meno noto invece, che più di 600 anni fa questo titolo apparteneva alla basilica del Laterano, benedetta in nome del Cristo stesso, del suo predecessore (e cugino) – Giovanni Battista e del suo discepolo (e nipote) – l’apostolo Giovanni, il quale, come narrato nel Nuovo Testamento «corse più veloce di Pietro» verso il Salvatore risorto.

In poche parole, il Laterano è il Vaticano delle epoche passate: un «proVaticano».


Per gli odierni abitanti di Roma il Laterano è anche una vasta area urbana dove si erge un complesso di siti storici dislocati in tre piazze adiacenti chiamate in nome di tre Giovanni:

– piazza San Giovanni in Laterano (o piazza San Giovanni sul Laterano)

– piazza di Porta San Giovanni

– piazza Giovanni Paolo II

Nell’antica Roma, come adesso, è quasi al confine del centro storico. Se il tempo lo concede, dal centro fino a quì si può arrivare a piedi. In questo caso, direttamente dal Colosseo dritta come una freccia vi ci condurrà via di San Giovanni in Laterano. Ma il mezzo più comodo e rapido è la metro, stazione «San Giovanni».

Allora, partenza! Prossima fermata «San Giovanni»…

II. Il muro

Uscendo dalla metro e dandosi un’occhiata intorno non è difficile notare delle vecchie mura di pietra con numerosi archi e una grande porta rivestita di concio bianco. Sono le antiche mura dell’imperatore Aureliano5 che una volta fonivano protezione e donavano tranquillità alla vita della città eterna.


Gli antichi romani erano dei grandissmi specialisti nell’erigere fortificazioni di vario tipo, soprattutto mura. Le innalzavano ovunque mettevano piede le impolverate calighe6 degli audaci legionari. Una rete di fortificazioni difensive si estendeva dalle aride sabbie del Sahara con il «Limes Mauritano», fino alle piovose montagne della Scozia, dove furono eretti il vallo di Adriano e Antonino. La cosa interessante è che quest’ultimi hanno fatto da spunto per il ciclopico «Muro» dell’epopea fantasy di George Martin – «Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco», resa celebre dalla serie televisiva «Il Trono di Spade». Questo «Muro» difendeva il mondo civilizzato dei Sette regni dal selvaggio mondo del belligerante Nord, le cui vaste aree erano occupate da orde di incontrollabili «Bruti», da tremendi zombie – gli «Estranei» e varie altre entità maligne. Nella vita reale prorio per lo stesso scopo a difesa di Roma prima furono erette le antiche mura Serviane7, e in tempi più recenti quelle Aureliane. Solo che al posto dei «bruti» le mura romane venivano attaccate da altri invasori del nord – le tribù dei galli, goti, vandali e longobardi…


Per i russi forse sarà interessante sapere che a immagine della prima Roma fu costruita anche Mosca – la nostra Roma del nord, la terza per ordine e la quale come molti sanno «si tiene ancora in piedi, ultima nel suo genere»8. Sette colli di Mosca circondavano le mura dell’antica città. Il suo perimetro di 16 chilometri è il percorso che oggi segue il movimentato anello di giardini che fa da confine al centro storico. Nella Roma odierna lo stesso ruolo è ricoperto dalle mura Aureliane, erette 1300 anni prima, e più lunghe di tre chilometri di quelle di Mosca.

L’imperatore Aureliano cominciò la costruzione di queste mura fortificate nel 271. Le mura difendevano i sette colli di Roma, il campo Marzio e l’area «Zamoskvorech’ye»9 (se continuare con le analogie con Mosca) – il quartiere Trastevere, sulla sponda destra del Tevere. Aureliano fu molto perspicace a costruire questa imponente fortificazione. Da quì a non molto sarebbero cominciate le invasioni barbariche.

La tensione che aumentava al confine dell’impero Romano richiedeva la necessità di fortificare la città, e le mura furono terminate molto velocemente – in 4 anni. Per la costruzione del muro non si badò a spese e si usarono ingenti quantità di calcestruzzo, allargando le mura fino a 3,4 metri e facendole arrivare ad un’altezza di 8 metri (più tardi, durante il regno dell’imperatore Onorio10 all’inizio del V secolo vennero innalzate fino a 10,5—15 metri), e rivestite subito di mattoni. Ad una distanza di ogni 30 metri furono erette imponenti torri, e tutte le strade, che secondo il detto, portano a Roma, passavano attraverso le 18 porte, l’aspetto esteriore e la capacità difensiva delle quali venivano progettate basandosi sull’importanza strategica.

All’interno delle antiche mura Aureliane, sulla propaggine del colle Celio si trova l’area che si chiama Laterano. Non lontano da quì cominciava l’antica via Campana che portava verso la regione Campania11.


La porta in mezzo alle due massive torri rotonde ha il pittoresco nome di Porta Asinaria, che molto prosaicamente si traduce come Porta degli Asini. Durante l’innalzamento delle mura quì venne costruito solo un piccolo passaggio – la postierla per i proprietari terrieri che vivevano fuori della città. Da quì conduceva in città la Via Asinaria (o Via degli’Asini). Siccome per i contadini dell’antica Roma il mezzo di trasporto principale era l’asino, se ne deduce che è da quì che prendono il nome sia la porta che la via. Lo stretto passaggio venne allargato solo durante il regno del fervente cristiano – l’imperatore Onorio. Approposito, fù proprio Onorio ad abolire i combattimenti dei gladiatori nel 404, dopo che il monaco Telemaco fù ucciso a sassate dalla folla mentre cercava di porre termine ad una delle sanguinose battaglie che si tenevano nell’anfiteatro.

La storia teneva in serbo un destino piuttosto movimentato per la Porta Asinara. Nel 536 la porta fu varcata dall’esercito del generale bizantino Belisario che entrò a Roma per liberarla dalla tribù germanica degli ostrogoti capeggiati dal re Vitige. Dieci anni dopo, distrutta la porta a colpi di ariete, la citta fù occupata dalle armate del nuovo re ostrogoto – Totila.

Nel 1084 in questo punto delle mura entrarono a Roma i normanni capeggiati da Roberto Il Guiscardo, che distrussero e saccheggiarono tutto quello che gli capitava davanti agli occhi. Dopo di questo l’esercito del Guiscardo diede fuoco alla città eterna agendo con una tale brutalità, che questo incendio verrà ricordato dagli storici come uno dei più catastrofici nella storia dell’Impero Romano. Eppure, nonostante tutte le peripezie la porta degli’Asini si è conservata benissimo. Tuttavia, attualmente, a causa dell’abbassamento del livello della strada la porta è chiusa al passaggio delle macchine, ma i passanti, e anche gli asini possono ancora attraversarla.


La sontuosa e larga Porta San Giovanni, chiamata in onore del santo e che fu costruita per il passaggio di persone importanti o solenni processioni, è comparsa nelle mura Aureliane solo nell’anno 1574. La sua costruzione fu iniziata su benedizione del papa Pio IV Medici (1559—1565), ma venne terminata durante il pontificato di Gregorio XIII Buoncompagni (1572—1585), al quale, tra l’altro, dobbiamo l’introduzione del nuovo calendario gregoriano.

I lavori di costruzione furono guidati dall’architetto Giacomo del Duca, poi seguito da un’altro Giacomo – della Porta, allievo di Michelangelo. Delle leggende popolari raccontano che Giacomo della Porta morì per torcimento dell’intestino causato da eccesivo ingerimento di cibo: si dice che il poveraccio si sia abbuffato di cocomero e meloni ad un picnic in campagna e che la morte lo colpì proprio mentre stava attraversando la porta di San Giovanni. Così l’anima lascio le spoglie mortali dell’architetto proprio sotto l’arco della volta della propria costruzione. Molto probabilmente si tratta, come si dice adesso, di un fake. Nei propri aneddoti la gente ama molto gettare fango su personaggi famosi, proprio facendo leva sui peccatucci dei quali si erano macchiati: nella Repubblica Ceca vi diranno che l’astronomo Tycho Brache bevve talmente tanta birra Krusovice fino a farsi scoppiare la vescica, e che in Russia lo scrittore di favole «nonno Krylov» morì dopo una grave indicestione a causa della grande quantità di frittelle mangiate durante la festa della Maslenitsa.

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